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14 luglio 2016

23 Luglio 2016
Pontormo, "La visitazione", Pieve di Carmignano, 1528, dettaglio
Pontormo, “La visitazione”, Pieve di Carmignano, 1528, dettaglio

Lo scorso 14 luglio mi trovavo nel chiostro degli Agostiniani della Biblioteca Comunale di Empoli per la cerimonia finale del premio Luigi Russo Pozzale. Nell’atmosfera raccolta di quell’ambiente fatto per proteggere dal mondo di fuori e creare uno spazio adatto alla riflessione e alla pace parlavamo di viaggi e diversità, di spostamenti fatti per scoprire o per sopravvivere, del sentirsi alieni e alienati solo perché non omologabili agli altri, portati su questi temi dai tre libri vincitori del premio, La frontiera di Alessandro Leogrande, La prima verità di Simona Vinci e le opere di Gianni Celati.

Il pubblico era partecipe, gli autori contenti e nonostante nelle parole sempre appropriate e intelligenti del presidente del premio, Adriano Prosperi, risuonasse un’eco di amarezza nel constatare come a sgretolare l’identità umana e culturale del nostro Paese siano prima di ogni altra cosa la mancanza di lavoro e la distruzione progressiva delle garanzie costituzionali legate al lavoro, per un momento siamo stati bene, abbiamo avuto la speranza che unendo le forze avremmo avuto la meglio sul disagio e sulla paura verso questo presente carico di minacce, di diseguaglianza, di conflitti.

Non ho saputo fino al mattino dopo che, proprio nel momento in cui consegnavamo i premi, a Nizza avveniva una strage che sarebbe poi stata rivendicata come l’ennesima in nome del cosiddetto Stato islamico.

Il 15 luglio mentre ci dirigevamo a Carmignano per vedere La visitazione di Pontormo alla radio ascoltavamo le notizie relative al numero altissimo di morti e feriti travolti dal camion bianco che avrebbe dovuto distribuire gelati sulla Promenade des Anglais e invece aveva portato mitragliate di fuoco sulla folla riunita a vedere i fuochi di artificio per celebrare l’anniversario dell’inizio di ogni libertà civile e laica: la presa della Bastiglia.

Di nuovo dentro una chiesa – la pieve di Carmignano – ho pensato a come ci sentiamo enormemente vulnerabili in questo momento in Europa, esposti alla violenza e come per tanti secoli la risposta a questa fragilità in Occidente sia stata anche nella chiesa, coi suoi luoghi di ritiro, protetti e pieni di bellezza.

Riflettere sul potere della bellezza in un momento del genere mi è sembrato necessario, non solo per giustificare l’esistenza di un premio letterario, il cerimoniale che avevamo appena celebrato, ma soprattutto perché forse per la prima volta ho capito, facendone esperienza diretta, quale sia la sua azione di fronte alle atrocità e al male: innalzare un muro anche se solo simbolico.

Quanti libri bruciati, quante opere distrutte nei secoli, in barba alla bellezza e in nome di qualche convinzione religiosa o politica. E, quel che più conta, quante vite cancellate.

Eppure per opporsi al male, all’odio, alla guerra, la bellezza delle parole e delle opere non è un baluardo secondario: porta dentro di sé la fatica, la pazienza e soprattutto la capacità di ascolto di chi l’ha creata, implicitamente ci dice che costruire è meglio che distruggere.

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