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L’iris selvatico

6 Febbraio 2014
Il fiore dell'iris ritratto da Declan McCullagh nel 2005
Declan McCullagh, “Iris”, 2005

a Bettina G.

In questi giorni di fine inverno o principio di primavera – la cosa non è chiara poiché il clima è bizzarro – mi è capitato di scorgere margherite e viole sui bordi della strada. Se la troppa pioggia non le ha stramazzate, le teste bianche e viola si protendono verso il sole, un po’ come fa la gente sostando nelle piazze e cercando un angolo assolato.
L’istinto e la fame biologica per la luce ci accomunano tutti, animali piante umani. Quale sia il rispettivo fine nel cosmo rimane materia di speculazione, e per alcuni di poesia.
Il nostro esistere consapevole, almeno nella sua traduzione verbale, ci fa cogliere l’altro esistere, all’apparenza muto, eppure dotato di senso.
La poetessa americana Louise Glück ha dedicato un intero libro di liriche al dialogo reale e metafisico fra gli umani e le piante, s’intitola The Wild Iris (1992) ed è stato tradotto in italiano da Massimo Bacigalupo per le edizioni Giano nel 2003.
Louise Glück immagina e descrive un giardino in cui le piante, non meno degli umani, prendono la parola e raccontano la loro esperienza di vita, invocano Dio, gli rimproverano la durezza del creato.
Molti si vergognano a parlare con chi non risponde: la natura, gli animali, Dio; eppure non è sopprimendo questa voce, o tenendone le distanze tramite lo schermo di un antropocentrismo moderno e postumano, che avremo le cose più chiare o la vita più dolce.
Louise Glück ne parla nella poesia Daisies:

Go ahead: say what you’re thinking. The garden
is not the real world. Machines
are the real world. Say frankly what any fool
could read in your face: it makes sense
to avoid us, to resist
nostalgia. It is
not modern enough, the sound the wind makes
stirring a meadow of daisies: the mind
cannot shine following. And the mind
wants to shine, plainly, as
machines shine, and not
grow deep, as, for example, roots. It is very touching,
all the same, to see you cautiously
approaching the meadow’s border in early morning,
when no one could possibly
be watching you. The longer you stand at the edge,
the more nervous you seem. No one wants to hear,
impressions of the natural word: you will be
laughed at again; scorn will be piled on you.
As for what you’re actually
hearing this morning: think twice
before you tell anyone what was said in this field
and by whom.

Margherite
Avanti, di’ quel che pensi. Il giardino
non è il mondo vero. Le macchine
sono il mondo vero. Di’ francamente ciò che
ogni sciocco
potrebbe leggerti in faccia: è logico
evitarci, opporsi alla nostalgia. Non è
abbastanza moderno, il suono che fa il vento
agitando un campo di margherite: la mente
non può brillare seguendolo. E la mente
vuole brillare, scopertamente, come
brillano le macchine, e non
crescere in profondità, come, ad esempio, le radici.
È commovente,
lo stesso vederti avvicinare
cautamente il bordo dei prati di primo mattino,
quando certo nessuno potrebbe
osservarti. Più stai ferma al limite,
più sembri nervosa. Nessuno vuol sentire
impressioni del mondo naturale: sarai
derisa di nuovo; ti copriranno di disprezzo.
Quanto a ciò che stai davvero
ascoltando stamattina: pensaci due volte
prima di riferire cosa fu detto in questo campo
e da chi.

(trad. di M. Bacigalupo)

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