Oggi qui è decisamente primavera, ossia un misto di clima mite, di vento fastidioso, di pollini e profumi d’erba, di cielo mutevole e di una pressione che, dal basso, dal profondo della crosta risale verso la superficie. Spinge i germogli, la rinascita, e forse per noi creature evolute anche altro: i ricordi, le cose appoggiate, dimenticate, ma non risolte, il desiderio di ricominciare, la spossatezza e l’euforia di esserci di nuovo, sul campo di battaglia della vita.
Ho appena letto un lungo articolo tradotto su Internazionale e pubblicato in origine sul New Yorker a firma di Michael Pollan. S’intitola “L’intelligenza delle piante” e ripercorre gli studi sulla sensibilità e capacità di intelligenza e percezione del mondo vegetale a partire da un libro molto controverso, La vita segreta delle piante di P. Tompkins e C. Bird (edito in Italia dal Saggiatore nel 2009).
Il testo, uscito negli Stati Uniti all’inizio degli anni ’70, è stato nel corso del tempo in parte contraddetto e smentito, ma ha avuto il pregio di introdurre una domanda fondamentale: cosa sente il mondo delle piante, quel mondo che occupa gran parte del globo, e a conti fatti sembra avere capacità adattative ben superiori alle nostre?
Da allora la sperimentazione in tale senso è andata avanti, dimostrando che le piante sentono, ricordano, si difendono, fanno persino comunità, il tutto senza neuroni, ma sempre attraverso canali chimici ed elettrici, gli stessi che presiedono alla comunicazione delle nostre cellule.
C’è un’evidente resistenza da parte di una certa parte della comunità scientifica ad attribuire alle piante intelligenza, memoria e capacità decisionale, ritenute prerogative di esseri coscienti, cioè in grado di elaborare il senso di quanto accade, come gli animali superiori e in specie l’uomo. Eppure tutti concordano sulla base delle evidenze sperimentali che anche le piante sanno e conoscono, e avendo una struttura modulare, in cui nessun organo è insostituibile, sanno adattarsi meglio. Per uno degli scienziati intervistati, Stefano Mancuso, “noi siamo la prima specie in grado di discutere su cos’è l’intelligenza. Ma è la quantità, non la qualità dell’intelligenza che ci distingue. Ci collochiamo in un continuum con le acacie, i ravanelli e i batteri. L’intelligenza è una proprietà della vita.”
Farà piacere ai poeti, agli artisti e a tutti coloro che questa continuità nella materia e nello spirito l’hanno sempre sentita, avere ora la prova della scienza. A me di sicuro conforta, la parentela stretta col ravanello e col ciliegio.
L’articolo di Pollan dice molte altre cose interessanti, ma io per ora mi fermo qui, a questo senso di appartenenza profonda alla vita organica che sa prima di noi, e ci insegna, o dovrebbe insegnarci, l’umiltà di esistere.
Allora, se mi danno della testa di rapa (o di cavolo) non debbo prendermela troppo.