Articolo: Intervista a Benedetta Tobagi, autrice de La Resistenza delle donne (Einaudi 2022), Sette, 17 novembre 2022
Con La resistenza delle donne, Benedetta Tobagi scrittrice e storica affronta con la medesima intima partecipazione e lo stesso rigore storico applicato al racconto dello stragismo dei suoi precedenti libri, la presenza femminile dopo l’8 settembre, quando “nello sconquasso dell’Armistizio con gli alleati sulle macerie del Ventennio, il paese si spacca e le donne irrompono sulla scena”. Qual è la portata e quali sono i modi peculiari di questa irruzione?
È una cesura epocale. Anche se molte protagoniste – col tipico understatement femminile! – ripetono per decenni di non aver fatto nulla di speciale, “solo quel che c’era da fare”, con la Resistenza le donne entrano in massa, da protagoniste, nella grande Storia. Il primo atto è il cosiddetto “maternage” di massa, quando si impegnano spontaneamente a nascondere, rivestire e mettere in salvo i soldati che rischiano di finire nei lager se rifiutano di combattere coi nazifascisti: la più grande operazione di salvataggio collettivo della nostra storia, e le donne, a differenza degli inglesi a Dunkirk, non le aveva convocate nessuno. Le donne si impegnano poi nella Resistenza in moltissimi modi e ruoli, anche se non hanno veri e propri modelli alle spalle. Fa sorridere che una partigiana, Wilma De Paris, dicesse all’amica Tina Merlin, quasi per farsi coraggio: “Non siamo matte e non siamo le prime, hai presente Anita Garibaldi?”.
La partecipazione delle donne alla vita politica e alla Resistenza non nasce dal nulla. Che cosa l’aveva preparata e che cosa rese possibile che l’aggregazione diventasse trasversale tra classi sociali e livelli di istruzione diversi?
Le radici di un impegno femminile popolare, se non ancora di massa, si trovano nella tradizione di lotte politiche e sindacali di matrice anarchica, socialista e poi comunista, che da fine Ottocento coinvolsero molte donne tra le operaie e le mondine soprattutto, su cui s’innesta la militanza antifascista in clandestinità. Accanto a dirigenti straordinarie come Camilla Ravera e Teresa Noce, troviamo una schiera di donne che spesso non hanno nemmeno la licenza elementare, ma si rivelano straordinarie alla prova dei fatti, e dopo il ’43 portano in dote alla Resistenza il loro patrimonio d’esperienze; Bianca Guidetti Serra raccolse le testimonianze di molte di loro nel volume Compagne, pubblicato nel 1977: sono storie pazzesche!
Lei dedica questo libro alle antenate e sembra di capire che si tratti non solo delle partigiane e delle migliaia di donne che hanno contribuito alla Resistenza, ma anche delle studiose che ne hanno raccolto le memorie, le hanno analizzate, ne hanno capito l’importanza. Quali sono stati i modelli e la tradizione di studi di riferimento?
Il significato della “dedica” si comprende per intero alla fine del libro… ma è proprio così. Per molti versi, in un senso profondo, la Resistenza delle donne è stata anche uno scontro tra il silenzio e la voce, e la sua stessa storia, nel dopoguerra, sprofonda in larga parte nell’oblio, come se la guerra di Liberazione fosse stata solo una faccenda di maschi in armi. Il suo recupero sarà un’impresa condotta in larga parte dalle donne per le donne. Ci si dedicano per prime le stesse ex partigiane, e poi diverse generazioni di studiose. Gli anni Settanta sono un punto di svolta, la diffusione della storia orale, che vuole dar voce ai senza voce, e la crescita del movimento femminista si traducono in opere fondamentali come La Resistenza taciuta, del ’76, che è appunto quella delle donne, basato sul racconto antiretorico e senza peli sulla lingua delle protagoniste, poi studiose come Anna Bravo che hanno “fatto scuola”, i grandi programmi di ricerca degli anni Novanta, che indagano il coinvolgimento delle donne nelle più varie sfaccettature e raccolgono centinaia di testimonianze: un patrimonio prezioso a cui ho potuto attingere per questo mio lavoro. Ci sono storie commoventi: l’attenzione e l’empatia di alcune giovani ricercatrici fa sì che donne stuprate dai nazisti, dopo decenni di silenzio, ne parlino per la prima volta con loro… Volevo rendere omaggio a tutte queste studiose.
Riguardo al maternage, al sentirsi madri di una nazione anche senza magari esserlo dal punto di vista biologico, dal suo libro emerge anche l’ambiguità del ruolo materno esteso su vasta scala e una sua marginalizzazione una volta terminata la guerra. Cosa è successo a queste “madri” dopo la Liberazione?
Scanso equivoci, chiariamo che il “maternage” è solo un aspetto. Le donne si conquistano il diritto di portare le armi, stare in banda, e anche quando coi Gruppi di Difesa si occupano di logistica o cucine, dicono chiaro e tondo ai compagni: “voi senza di noi non fate niente”. In quei venti mesi quindi “scardinano” i ruoli tradizionali, ma dopo il 25 aprile, se il fascismo è finito, il patriarcato invece è ancora in gran forma, e, anche se le donne conquistano il diritto di voto, cerca subito di ricacciarle indietro nei ruoli tradizionali, tra le mura di casa. L’amarezza è tale che qualche ex partigiana dirà addirittura di invidiare chi era morta. Come disse Ada Gobetti: “incominciava un’altra battaglia: più lunga, più difficile, più estenuante, anche se meno cruenta”. E non è ancora finita.
Le donne che entrano nella Resistenza, nonostante le iniziali diffidenze maschili, riescono a ricavarsi ruoli abbastanza paritari, a volte anche di comando, molte condividono uno spazio promiscuo, del fare e della vita clandestina, inedito per la mentalità dell’epoca. La Resistenza fu un momento in cui le donne acquisirono a livello collettivo una consapevolezza nuova di ciò che potevano essere?
Da innumerevoli testimonianze affiora l’esperienza entusiasmante di una libertà mai vissuta, un senso di liberazione e riscatto personale, dentro quello collettivo, mentre germoglia il sentimento di poter “essere qualcuno”, come dice Rosa Biggi, la staffetta Nuvola: un soggetto con un’identità e un valore, a prescindere dai ruoli di madre, moglie o figlia. Maturano una consapevolezza e un uso del corpo del tutto nuovi: per esempio ostentando ad arte seduttività, fragilità o isteria per far fessi i nazifascisti, facendo leva sugli stereotipi in cui erano ingabbiate da secoli. Scoprono la fisicità degli uomini (qualcuna ricorda gli odori: la brillantina, il tabacco, il sudore…), sperimentano l’eros, a volte la sessualità: eccitante e insieme perturbante, per la loro educazione repressiva e pudibonda!
La Resistenza delle donne è scritto come un prezioso mosaico di racconti che di voce in voce ritesse la memoria di vite note, Ada Gobetti e Teresa Mattei, ad esempio, e di molte altre quasi anonime. Poi c’è un ricco apparato di fotografie in dialogo col testo. Nessuna idealizzazione, nessun santino. A chi vuole parlare questo passato così recente eppure già lontano? Ho giocato con registri narrativi diversi e col potenziale evocativo, oltre che documentale, delle immagini, per cercare di far “respirare” la ricchezza e la complessità di queste vicende, e insieme lumeggiare gli aspetti esistenziali dell’esperienza di queste donne, accanto alla grande Storia; credo che racconto e rigore, mente e cuore, si possano coniugare benissimo, e spero che così questa miniera di storie possa raggiungere anche lettori che non frequentano la saggistica storica tradizionale: è un passato “nutriente”, un antidoto al cinismo e alla rassegnazione. Ieri come oggi, le donne sanno essere portatrici di un’energia rivoluzionaria, lo vediamo in tutti gli angoli del mondo, dall’Iran all’America Latina, lo vediamo in queste nostre “antenate”: lasciamoci ispirare!