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La princesse de Clèves

Articolo uscito su La lettura, 1 ottobre 2023

La princesse de Clèves, è un best seller da più di quattro secoli. Gli studenti francesi la portano al Bac, l’equivalente della nostra maturità, come noi portiamo, ad esempio, I malavoglia o I promessi sposi. In Italia negli ultimi vent’anni ne sono uscite una decina di traduzioni, senza contare quelle storiche di Sibilla Aleramo, Leonardo Sciascia e Rosetta Loy. Chi lo legge in originale rimane colpito dalla lingua: un francese nitido, che non ha bisogno di parafrasi o delle note che qualsiasi testo italiano coevo richiederebbe. Vantaggi di una storia nazionale unitaria che a fine Seicento aveva già una lingua stabile, non frammentata in mille varianti regionali come la nostra, e con molta meno escursione fra parlato e scritto.

L’autrice, Marie Madeleine Pioche de la Vergne (Parigi 1634-1693), nota come Madame de la Fayette, era nata in seno a una famiglia della nobiltà di toga; ebbe un matrimonio sereno benché privo di passione con l’aristocratico François de La Fayette. Brillante, coltissima e perfettamente inserita fra i letterati del suo tempo, da Madame de Sevigné a La Rochefoucauld, fu dama della regina Anna d’Austria e poi di Enrichetta II, avendo così modo di conoscere a fondo la sfarzosa corte di Luigi XIV. Situata nell’epicentro di tanta vita mondana e intellettuale, scrisse e pubblicò diversi romanzi in forma anonima, fra cui La princesse de Clèves, dando vita a una figura romanzesca a tutti gli effetti eccentrica poiché in grado di spostare il punto di vista delle convenzioni morali e dei costumi sociali più consolidati, e per questo compagna di altre figure di donne anticonvenzionali che vengono portate in scena nella rassegna “Eccentriche”, ormai giunta alla terza edizione, curata da Sara de Simone all’oratorio di San Filippo Neri di Bologna.

La Princesse de Clèves esce nel 1678 e narra la storia di un personaggio di fantasia, una giovanissima donna alla corte di Enrico II di Valois che viene fatta sposare a un uomo che rispetta ma non ama e che si si innamora viceversa del Duca di Nemours da quale è riamata. Questo amore, nonostante la morte del marito causata dalla gelosia, non verrà mai consumato. Gli scrupoli morali e una spietata disamina della passione amorosa imporranno alla princesse de Clevès una rinuncia netta e senza appello. La Fayette adotta un’ambientazione scalata di un secolo rispetto al momento in cui scrive, con i matrimoni dei grandi reali d’Europa e i conflitti fra casate aristocratiche che fanno da sfondo, anche se sembra essere proprio quella del re Sole la corte che descrive.

Il libro fin dall’uscita suscitò un intenso dibattito critico sia per i temi affrontati, l’amore-passione e l’integrità morale, sia per la forma stessa del testo: non erano memorie, non erano lettere, generi in cui si praticava l’introspezione, ma era il racconto di una vita interiore innestato su una vicissitudine amorosa.

In un momento in cui veniva ridiscussa la gerarchia dei generi letterari trasmessi dall’antichità, La princesse de Clèves contribuì in maniera determinante al sorgere di un nuovo genere, quell’ibrido che ora noi conosciamo con il nome di romanzo e per il quale all’epoca ancora si dibatteva sul nome. Si tratta infattidel racconto di un amore sfortunato, ma è soprattutto un racconto interiore che rielabora in una forma nuova lo scandaglio dei sentimenti che era stato dei moralisti francesi, Montaigne in testa, e della loro fervente rilettura di un libro capostipite come Le confessioni di S. Agostino. A differenza dei coevi romanzi barocchi o picareschi, quello di Madame de La Fayette è dominato dalle sorprese che vengono non dall’intreccio ma da un confronto serrato fra le intenzioni, i sentimenti e le azioni umane tra cui si produce sempre uno scarto. Un modello introspettivo destinato a grande vitalità nella letteratura francese fino a Marcel Proust.

Il primato che viene riconosciuto piuttosto universalmente a La princesse de Clèves come primo romanzo di introspezione psicologica è legato alle doti di sensibilità e di profondità della sua autrice, ma sarebbe difficilmente immaginabile fuori dall’ambiente in cui si sviluppa: la corte parigina.

Madame de al Fayette scrive dopo la seconda metà del Seicento, quando è nei cerimoniali simbolici allestiti dalla corte che si attua una ridistribuzione gerarchizzata del potere. La corte francese è il regno dell’apparire, in cui il proprio prestigio e riconoscimento si valutano in base alla prossimità fisica coi reali, ai vestiti indossati, al posto a tavola, ai gioielli sfoggiati, alle bienséances (buone maniere o uso consapevole e appropriato delle convenzioni) messe in atto.

È nella società di corte che matura l’approccio psicologico all’agire umano: i conflitti che interessano non sono più gesta eroiche e guerresche, ma quelli che sorgono nelle relazioni umane quotidiane e che definiscono le sorti e il paesaggio interiore degli individui. A corte si mente, s’inganna, si manipola in un gioco infinito di specchi.

La Princesse de Clèves spicca in questo ambiente come una anomalia: non sa mentire, arrossisce quando deve celare i propri sentimenti, e ha un’idea di integrità e del dovere così forte che dopo aver combattuto invano contro la passione per il duca di Nemours decide di confessarla al marito, sebbene non abbia consumato nessun gesto amoroso con il Duca, anzi lo eviti e lo rifugga. La princesse de Clèves dichiara una passione e la sua impossibilità, eludendo lo schema del tradimento e della menzogna tipico delle avventure galanti del tempo. Riconosce il sentimento che la travolge, eppure decide di non viverlo perché perderebbe la padronanza di sé.

La confessione al marito costituì all’epoca, e costituisce ancora, motivo di scandalo. Il fatto è che la Princesse de Clèves deve la sua grandezza e la forza di parlarci ancora oggi anche a questo: all’assolutezza con cui guarda a se stessa e alla volubilità dei propri moti interiori senza infingimenti. Nel momento in cui ammette di essere dentro un matrimonio senza passione, e scopre di provarla per un uomo che non è il marito, compie un gesto che la distingue: confessa un sentimento, non un’azione. La sincerità non la premia. In un mondo in cui la doppiezza è la norma, essere sinceri offre una ricompensa individuale, alla propria coscienza, non nelle relazioni con gli altri.

Bersaglio di tutto il romanzo è la passione, nefasta perché fa perdere il controllo di sé, genera gelosia, porta alla morte, è effimera. Anche quando il suo consorte è deceduto, dopo aver erroneamente creduto che la moglie lo avesse tradito con il duca di Nemours, la Princesse de Clèves non si si concede perché riconosce di temere la passione come un sentimento destinato a non durare, specie in uomo. Il moralismo di Madame de La Fayette, che fa terminare i giorni della Princesse de Clèves in una sorta di ritiro spirituale, è tanto più rivoluzionario in quanto non nega l’esistenza e la forza della passione, ma le antepone l’essere padrona di sé, conquista non da poco per una donna, allora come oggi.

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