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Roberta Scorranese, “A questo serve il corpo. Viaggio nell’arte attraverso i corpi delle donne”

Recensione al libro: Roberta Scorranese, “A questo serve il corpo. Viaggio nell’arte attraverso il corpo delle donne”, Bompiani 2023

Sui corpi delle donne si è detto e si dice ogni giorno moltissimo, basta aprire un giornale, un social network, una rivista accademica per veder fiorire teorie, commenti e opinioni, soprattutto: la rappresentazione visiva dei corpi femminili è onnipresente, li vediamo letteralmente ovunque, celebrati o vilipesi, mercificati a scopo pubblicitario o estetizzati; sempre giudicati, pesati, confrontati.

Davanti a questa abbuffata di corpi femminili, il nuovo libro di Roberta Scorranese, A questo serve il corpo. Viaggio nell’arte attraverso i corpi delle donne, impone una salutare e necessaria pausa di riflessione: innanzitutto a cosa serve un corpo, e in particolare un corpo di donna?

La sua funzione si direbbe quella di contenere e consentire l’esistenza individuale oltre che la riproduzione della specie, ma la complessa dialettica fra interno ed esterno che ogni corpo instaura suggerisce che, oltre il dato biologico, sviluppi una quantità quasi inesauribile di significati e usi, fra i quali la variante del genere si rivela cruciale nel determinare la percezione di sé e, soprattutto, la percezione che gli altri hanno di noi. Roberta Scorranese esplora questo tema attraverso un duplice binario: la rappresentazione artistica, attraverso una selezione di opere descritte e analizzate, tra molti rimandi pittorici e letterari, e il racconto breve che si alternano nei venticinque capitoli che compongono il libro.Sulla raffigurazione del corpo femminile, specie se colto nella nudità, esistono ottimi studi accademici, a partire dal pionieristico The Nude. Study in ideal form di Kenneth Clark (1956) attento, come suggerisce il titolo stesso, a esaminare la tendenza idealizzante che ha percorso l’arte antica e classicista, senza troppo porsi il problema se il soggetto fosse un uomo o una donna, questione che invece appare centrale negli studi di Griselda Pollock, in particolare nel libro scritto con Roszika Parker, Old mistresses. Women, Art and Ideology (1981) e che viene ribadita da John Berger, About Looking (1980) Sul guardare. Già solo a scorrere questi tre volumi si ha l’impressione che si avvenuto un cambiamento epocale: dall’idea che guardare un corpo sia un atto intellettuale neutro alla consapevolezza che lo sguardo sia viceversa sempre collocato, nel tempo, nello spazio, nel genere. Scorranese ha scritto quello che con un termine anglosassone si definirebbe un personal essay, non è saggio accademico ma si giova di queste importanti acquisizioni e riesce mettere in dialogo attraverso un’abile tessitura narrativa gesti e pose delle donne dipinte nei secoli con gesti e pose delle donne nella quotidianità. La premessa è che il rapporto con il corpo sia una conquista, spesso faticosa, mai scontata, perché prima ancora di essere un luogo confortevole il corpo è l’estraneo che ci ospita ed è la superficie sulla quale di continuo si appunta lo sguardo altrui, uno sguardo che modella e fissa un codice espressivo rispetto al quale solo l’arte sembra riuscire a trasmettere quell’eccedenza o quel difetto che lo rendono unico e in qualche modo riottoso alla classificazione.

La scelta delle opere d’arte analizzate, che spaziano da Piero della Fracesca a Frida Kahlo, sembra privilegiare il fil rouge dell’intimità che si esprime senza giudizi, senza condanne, senza voyeurismo e si apre con la figura della Maddalena penitente di Caravaggio della galleria Doria Pamphilj di Roma: una fanciulla del popolo, forse una prostituta, che il pittore eleva al rango di santa e che coglie nell’abbandono dolce del sonno, da seduta, nel buio protetto di una stanza disadorna, senza quegli ammiccamenti erotici che viceversa sono assai frequenti nell’iconografia del corpo femminile dormiente. Scorranese istituisce un’acuta analogia fra questo dipinto caravaggesco e la stanza tutta per sé di Virginia Woolf, uno spazio in cui, vecchio o giovane che sia, il corpo trova il modo per dirsi. Viceversa, la ragazza protagonista del racconto che fa da contraltare alla Maddalena di Caravaggio è Corinna, una trentasettenne che si muove tra il lavoro in un salone da parrucchiera e la pubblicazione su un profilo social di video a sfondo erotico, una donna che prova a capire quale sia il confine ultimo del corpo, per arrivare alla conclusione che ciò che mette in scena con i suoi video è “un modo perfetto per morire un poco ogni sera, ma senza morire davvero. (…) la forma sottile di violenza che nasce dal controllo del denaro ed è dunque composta anche di sfruttamento”. Scorranese attraversa e sposta questo confine ogni volta che si pone davanti alla raffigurazione di una donna. Nu dans le bain di Pierre Bonnard, ad esempio, ci fa entrare nelle dinamiche di coppia di un pittore bisognoso di idealizzare la sua musa, che gli ha mentito sulla propria età fingendosi più giovane, e di una donna che a sua volta ha bisogno dello sguardo innamorato del pittore per sopportare il tempo che passa. “Il corpo cambia, ma resta la luce. Non è forse questo che ci salva dalla caducità?” scrive Scorranese, a commento del dipinto di Bonnard; ma la ricerca di ciò che rimane dopo che il corpo è invecchiato, si è logorato, o è stato incompreso e malgiudicato, è l’intenzione che guida l’autrice consapevole che per riappropriarsi del (proprio) corpo bisogna prima di tutto riappropriarsi di uno sguardo empatico.

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