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Caroline Albertine Minor, Benedizioni

Recensione al libro: Caroline Albertine Minor, Benedizioni, Bompiani 2022

Insignita di numerosi premi, tra cui il Peter Olov Enquist, il Danish Fiction Association Prize, e segnalata al Nordic Council Literature Prize, la raccolta di racconti di Caroline Albertine Minor, Benedizioni,(Velsignelser, in danese) in uscita per Bompiani, è un libro di grande compiutezza formale. La tecnica narrativa affilata e la compattezza tematica segnalano un’autrice matura alla sua seconda pubblicazione e pienamente consapevole delle proprie possibilità espressive che potremmo definire, per suggerire fin da subito una stimmung, afferenti all’arte del freddo. Minor racconta avvenimenti tragici, tragedie che non esulano mai l’ambito familiare, quello dei rapporti fra consanguinei o tra amanti, protagoniste sono donne inquiete, una figlia ormai adulta che si trasferisce in Francia ad assistere, negli ultimi giorni di vita, un padre che l’ha abbandonata, una giovane donna che si impicca mentre si trova in Australia e sta facendo la ragazza au pair presso una famiglia, un’altra che segue il proprio compagno nella faticosa riabilitazione dopo un incidente che gli ha lasciato un serio danno cerebrale e forse non è più la stessa persona, una neo-mamma piena di rimorsi per aver tradito il compagno con un comune amico, poi morto, mentre ancora aspettava che nascesse il bambino, una studentessa insofferente ai rituali di famiglia che nella promiscuità sessuale cerca un modo per affermarsi, un’altra che, lasciata dal compagno sola con una figlia di due anni, viene attratta da uno sfuggente vicino di casa col quale rischia di rompersi l’osso del collo sul tetto.

Le situazioni in cui l’autrice immerge le proprie eroine sono ad alta intensità emotiva – lutti, perdite, devastanti sensi di colpa e inadeguatezza – eppure è come se venissero temperate a un grado prossimo allo zero. È un tratto culturale comune alla letteratura e all’arte cinematografica nordica – basti pensare alle atmosfere di un film come Festen o La comune di Thomas Vinterberg per farsi un’idea – ma è anche una precisa scelta stilistica: abbassando la temperatura si smorza qualsiasi tentazione sentimentale o lirica, emozioni e sentimenti appaiono sotto forma di istinti animali, vitalissimi e imprescindibili, ma scarsamente elaborati da filtri, quasi mai censurati. Queste donne non sanno di se stesse e del mondo in cui vivono molto di più di quanto la loro esperienza corporea e cognitiva le induca a provare: Helena, protagonista del primo racconto cerca, forse, un contatto che non ha mai avuto prima col padre colpito da ictus e poi morente, ma non riesce a carpire di quell’uomo molto di più che l’odore della malattia sulla pelle, il freddo degli arti immobili, allo stesso tempo viene coinvolta dall’esuberanza sessuale di un attore, ospite insieme alla sua troupe televisiva nella parte di casa adibita ad albergo, e finisce per rimanere in quel luogo insieme alla seconda moglie del padre più per inerzia che per reale scelta. Le scelte cruciali e ponderate, i momenti solenni in cui si fanno bilanci sull’esistenza e si tirano le somme sono infatti piuttosto estranei alla scrittura di Minor e alle psicologie dei suoi personaggi: ciò che si verifica nell’istante, ciò che brilla di luce brutale e inaudita, ciò che sorprende perché sgradevole e doloroso, è lì che si incunea la sua scrittura e dà il meglio di sé. Il mondo percettivo delle sue protagoniste è di continuo urtato e sollecitato – odori e sporcizia fisica punteggiano le sue descrizioni, rapporti sessuali che sono più sfida che gioioso abbandono, latte materno negato, lacrime di rabbia – ma le reazioni sono appunto quelle che si hanno al caldo o al freddo, a qualcosa che punge o attrae, come se non esistesse un ponte fra i sensi, la coscienza e ancora meno il giudizio morale. Per questo, molte situazioni che potrebbero ricordare per il nitore tagliente con cui sono scavate scene dei film di Ingmar Bergman non ne hanno, in realtà, il tormento etico, o meglio ciò che in Bergman diventa domanda metafisica sull’essere e sull’esistere, qui rimane al livello della registrazione del conflitto, del contrasto, dell’assurdo. L’autrice ha messo una sordina alla domanda su ciò che è bene e ciò che è male e, pur collocando le sue protagoniste sempre al bivio, le lascia sprovviste di qualsiasi centro etico, sono pura superficie, accadimento, come se la vita nel suo mero succedere avesse più forza di qualsiasi ragionamento sulla vita. Le relazioni umane stesse sono imperscrutabili, come sintetizza bene il pensiero messo in bocca a una delle bambine accudite da Anne Sophie, la ragazza au pair che finisce col suicidarsi: “Dice che si può essere tristi dentro. La bambina sembrava scettica. Ma siccome dentro è invisibile allora non si può né vedere né sentire.” Come a dire: l’interiorità è un territorio inesplorabile o indicibile. La storia di Anne Sophie occupa tre dei sette racconti della raccolta e questo consente a Minor di cambiare ogni volta il punto di vista, ossia di raccontare la vicenda dalla prospettiva della madre, dell’amica di infanzia e da quella di Anne Sophie stessa: si aggiungono dettagli, si determinano meglio alcune circostanze ma la ragione per cui la giovane donna, divenuta amante di Archie Pei, un uomo sposato, si sia impiccata non viene mai chiarita, nemmeno da quel pacco di lettere scambiate fra i due che la moglie di Archie Pei invia alla madre di Anne Sophie. Queste lettere, definite dalla moglie di Archie Pei lettere di fidanzati, passano di mano in mano dalla madre, alla migliore amica, alla figlia della migliore amica, senza essere lette; costituiscono l’emblema di quell’impossibilità a sondare il ‘dentro’ – proprio e altrui – che è il vero filo rosso che lega tutti i racconti. La solitudine e la quieta disperazione di queste vite è perciò totale, e a modo suo fulgida perché: “Senza un modo di guardare e un luogo da cui guardare, si vedono solo alternative. Rotta di volo, tane del bianconiglio, rotatorie. Qualsiasi cosa può essere sostituita con un’altra.”

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