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L’ordito

ArticoloL’ordito, Il lavoro culturale, 19 novembre 2012

A me la parola testo piace moltissimo. L’etimologia latina lo riconduce all’azione molto concreta del tessere e intrecciare i fili, ma il suo traslato metaforico si deve essere imposto ben presto, considerato che uno dei personaggi più importanti dei primordi della letteratura occidentale, Penelope l’astuta moglie del non meno astuto Ulisse, per vent’anni fa e disfa una tela tenendoci avvinti a un racconto.

Ciò di cui mi sono resa conto solo di recente è che io ho la tendenza a vedere o leggere tutto come un testo, cioé come uno spazio in cui le azioni, i pensieri, le persone e i loro sentimenti − insomma l’inesausta varietà della vita − tendono ad avere un ordine, una linea di percorrenza, un assetto formale, per usare la metafora di partenza un ordito, infine: un senso.

Nella vita quotidiana questo non accade. Dobbiamo far ricorso a molte facoltà insieme, e ad altrettanta forza di volontà, per dare un minimo ordine al reale e non è detto che, alla fine, quest’ultimo sveli il proprio senso; succede nella memoria, talvolta, o in quelle fortunate frizioni fra piani dell’esistere così apparentemente diversi e lontani che incrociandosi per accidente assumono il carattere di una rivelazione.

Per questo amo i testi letterari, dentro alcuni potrei proprio vivere, come dentro le opere d’arte, che a riguardo assolvono la stessa funzione: rispondono alla ribellione profonda di chi trova che la realtà sia sempre un poco stretta, inefficace, opaca e irrisolta finché una voce non la rielabora, non le dà una forma capace di comunicarsi ad altri, di entrare in relazione con altre voci e afferrare uno stralcio di verità in più.

C’è una miscela di insoddisfazione presunzione e utopia nel gesto di scrivere. Ogni volta che leggo un testo letterario misuro il grado di ribellione di chi lo ha scritto, ma anche di desiderio. Perché la scrittura è desiderio nel momento stesso in cui ci chiede di aderire a un universo di segni astratti che stanno per le cose vere di cui abbiamo esperienza nel mondo. Una storia scritta astrae dal mondo per riportarci al suo interno attraverso la scelta peculiare di una lingua, di un punto di vista, di situazioni e oggetti. Nessun universo testuale è esaustivo dell’esperienza umana, ma ogni universo ben costruito porta i suoi significati, ha una sua logica, racchiude una parte di ciascuno di noi. Perciò nessun testo letterario è mai isolato del tutto; frutto dell’idiosincrasia tra ribellione e desiderio di chi lo scrive, per esistere, deve fare i conti con una tradizione che prima di tutto è linguistica, poi di genere e di stile.

Potrei fare l’elenco dei testi che sono stati importanti per il mio romanzo Violazione o di quelli che lo sono, per me, in assoluto. Anche gli elenchi mi piacciono molto, e questo sarebbe lungo. Mi tratterrò poiché credo di aver esaurito i tremila caratteri a mia disposizione e poiché, per tornare a Penelope, ciò che cancelliamo e ciò che rimuoviamo non è meno importante, ai fini della storia, di ciò che teniamo in vista e mostriamo.

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