Articolo: Intervista con Robert MacFarlane, Sette, 15 gennaio 2021
Con Robert MacFarlane sarebbe bello passeggiare e conversare, percorrendo uno dei sentieri da lui amati in montagna, o in mezzo alla brughiera, per godere della sua minuziosa capacità di osservazione del paesaggio e di come noi reagiamo alle sollecitazioni di minerali, vegetali e animali. I suoi libri, in particolare Luoghi selvaggi. In viaggio tra isole, vette, brughiere e Montagne della mente. Storia di una passione, hanno infatti l’incanto di chi nutre una curiosità inesausta per il territorio e ha trovato una lingua, scientifica e poetica al tempo stesso, per comunicare come ciò che chiamiamo in termini generici ambiente sia frutto di infinite interazioni, di una metamorfosi continua. Quel che affascina nella prosa di MacFarlane è la connessione che riesce a stabilire tra fenomeni molto diversi, unendo esperienza diretta e studio, ampliando di volta in volta l’orizzonte. Poi è un uomo d’avventura: che sia essa urbana, nei sottopassi, nelle fogne, nella rete di manutenzione di Londra e Parigi, o nelle aspre vette alpine. Ma se non tutti hanno l’allenamento a camminare in luoghi impervi e l’esperienza necessaria a chi pratica alpinismo dell’atletico professore di Cambridge, quasi nessuno avrebbe il coraggio e la preparazione per seguirlo nelle discese in profondità che racconta nel suo ultimo libro, Underland. Un viaggio nel tempo profondo. Andare sottoterra: una sfida alle paure più definitive e agli archetipi più consolidati.
Perché dunque avventurarsi nelle viscere della terra dove il corpo è a rischio e la nozione del tempo e dello spazio muta fino a perdersi?
La risposta di MacFarlane è quella che troviamo in apertura al libro: «In tutte le epoche e culture ricorrono sempre le stesse tre funzioni: proteggere le cose preziose, produrre le cose pregiate, eliminare le cose nocive. Proteggere (ricordi, sostanze preziose, messaggi, esistenze fragili). Produrre (informazioni, ricchezza, metafore, minerali, visioni). Eliminare (scorie, traumi, veleni, segreti). Nel mondo di sotto riponiamo da sempre ciò che temiamo e desideriamo perdere e ciò che amiamo e desideriamo salvare».
Ma subito dopo aggiunge: “Volevo fin dall’inizio che l’esperienza del lettore di Underland fosse di discesa, seguita dall’immersione e coronata dal ritorno alla superficie e alla luce. Nella mitologia classica si chiama catabasi: il viaggio nel mondo ctonio e il ritorno, auspicabile, al mondo di sopra. Mi rendevo anche conto che non essendo un romanzo dovevo tenere avvinto il lettore in modo che il libro risultasse quasi impossibile e lo ponesse a un bivio: rinunciare o non potersi staccare dalle pagine.
Come sono stati scelti i luoghi da visitare?
La geografia di questo atlante sotterraneo si è disegnata grosso modo da sé. Ho cominciato dal sottosuolo inglese – le grotte calcaree che si trovano nel sud est del paese, le sepolture sotterranee dell’età del bronzo, la rete di radici e micorrize fungine che tiene collegati tutti gli alberi delle nostre foreste; il laboratorio che studia la materia oscura, un chilometro e mezzo sotto la superficie terrestre nello Yorkshire – mi sono poi spostato in Europa – il labirinto di catacombe di Parigi dove non ho visto la luce del sole per tre giorni; le terre carsiche intorno a Trieste e in Slovenia, luoghi di orrido sublime; e infine i ghiacciai che stanno fondendo del Nord, il permafrost della Groenlandia, le grotte artiche delle isole norvegesi Lofoten, e il ‘rifugio nascosto’ in Finlandia, dove una tomba per l’eternità è stata costruita 400 metri sotto il golfo di Bothnia per custodire le peggiori scorie nucleari.
Scendere sottoterra è stato dunque un modo per affrontare le sue paure personali o quelle legate alla crisi climatica e ai danni all’ecosistema prodotti dagli umani?
Entrambe queste cose, perché in realtà sono connesse, non è vero? La crisi climatica è qualcosa che si sente nella pancia, per dirla con Billy McKibben. Non si tratta di una futura catastrofe che si manifesterà all’orizzonte. Bensì è una continua esplosione di eventi catastrofici: gli incendi dell’Australia, i cieli della California resi irrespirabili dal fumo, lo scioglimento dei ghiacciai in Groenlandia e nella zona artica del Canada, la devastazione della foresta amazzonica. Ma, certo, il viaggio sottoterra ci mette di fronte principalmente alla morte, poiché è lì che, prima ancora che l’anatomia umana fosse simile a quella moderna, abbiamo seppellito i nostri morti per conservarli. Credo che non avrei potuto scrivere Underland prima di ora. Il mio primo libro, Montagne della mente, scritto quando ero poco più che ventenne, era un’avventura gioiosa nel rischio e nella bellezza degli elementi. Adesso, che ho superato i quarant’anni, ho accumulato molta più esperienza di dolore e morte. Potrei dire che Underland è un libro più elegiaco, oltre che il mio tentativo di restituire la meraviglia di ciò che si trova sotto i nostri piedi.
Cosa dovremmo imparare da ciò che si trova nel sottosuolo, da ciò che è sepolto?
Innanzitutto dovremmo ricavarne un monito contro la nostra ignoranza, dovremmo imparare l’umiltà di fronte all’estensione di ciò che non conosciamo. Solo negli ultimi venticinque anni gli scienziati che si occupano delle foreste hanno cominciato a capire la complessità delle migliaia di chilometri di micorrize che collegano una rete sotterranea di radici e funghi, in grado di consentire alle piante di condividere risorse e perfino informazioni, è il loro spazio sociale. Gli scienziati hanno appena cominciato a esplorare la cosiddetta materia oscura organica, l’immensa biomassa di microbi che vive parecchi chilometri sotto la crosta terrestre e che è incredibilmente varia e resiliente. Infine, per citare Bruno Latour, dovremmo trarre la lezione che “non siamo mai stati moderni”. Il cinema è stato inventato circa ventimila anni fa, dagli artisti che decorarono le grotte di Lascaux, in Dordogna, alla luce che sfarfallava di una torcia. I nostri esperti di ghiacciai, che eseguono carotaggi nelle profondità dell’artico per avere informazioni sul clima e predirne i cambiamenti, sono una riedizione degli oracoli di Delfi e Cuma in grado di leggere il futuro a partire da crepe che divaricavano le rocce.
La velocità è l’imperativo del mondo in cui viviamo. È possibile immaginare una conversione a un tempo più lento, riconnettendosi alla misura profonda dei cicli biologici e geologici?
Si tratta di un imperativo o ci estingueremo come specie, non ci sono altre parole. La questione etica al cuore di Underland è quella che l’immunologo Jonas Salk ha formulato in questi termini: “Ci stiamo comportando come buoni antenati?”. La risposta ovviamente, al momento attuale, è no. “Ciò che di noi sopravviverà è l’amore” ha scritto il poeta Philip Larkin. Sbagliato. Ciò che ci sopravviverà, per come vanno le cose oggi, saranno ossa di maiali e galline, detriti di un’estinzione di massa, particelle radioattive e plastiche. Essere un buon antenato è una cosa diversa dall’essere un buon genitore o un buon nonno. Comporta sentire la responsabilità verso generazioni che non conoscerai mai; i fantasmi dei milioni di umani ancora non nati. I nostri politici e i nostri governi hanno sviluppato una visione davvero a corto raggio nelle scelte da operare. Non sono adeguati alla sfida di diventare buoni antenati. C’è bisogno di una svolta, ma temo che il Covid abbia ridotto ulteriormente le nostre capacità in tale senso, spingendo i governi a prendere misure che non vanno oltre il mese a venire o la prossima stagione
Conoscere e dare un nome alle piante e alle specie animali è già un passo, ma forse non sufficiente a rispettare tutte le forme di vita del pianeta e mantenere l’equilibrio che ora sembra perduto. Scendere sottoterra può essere un esercizio di umiltà? Considerato che humus, da cui deriva ‘umile’, è la parola in latino per terra?
Coltivare una coscienza e un’alfabetizzazione ecologica di base fra i cittadini del mondo mi pare sia un obiettivo pedagogico cruciale e fattibile. Mi sto impegnando molto in questa direzione, nel mio paese, per portare un’educazione alla natura nelle scuole attraverso libri come The Lost Words and The Lost Spells. Quanto all’umiltà: certo, mi sono sentito umile scendendo nel sottosuolo. Risulta difficile non sentirsi pietrificati, ridotti a minerali, quando un’immensa massa petrosa ti avvolge, come mi è successo seguendo il corso sotterraneo del fiume Timavo che scorreva mugghiando nel buio, centinaia di metri sotto la terra del Carso.
Pensa che il culto della natura potrebbe diventare una nuova forma di religione?
Mi farebbe molto piacere se natura e paesaggio venissero nuovamente sacralizzati, ma in senso laico: riconoscendo la pura bellezza e meraviglia della vita organica, che dobbiamo difendere perché è insostituibile. D’altro canto, disprezzo e condanno l’eco-fascismo, una forma di radicalizzazione pseudo-religiosa che usa la difesa della natura come arma in una visione politica settaria.
Di tutti i luoghi visitati in Underland, qual è quello che ha amato di più e quello che l’ha spaventata di più?
Si tratta in entrambi i casi dello stesso posto: la discesa nella lingua soffusa di luce azzurra di un ghiacciaio in via di scioglimento nella Groenlandia dell’Est. Era l’estate del 2016 e si stava rivelando l’estate più calda nell’intera storia della Groenlandia. Io stesso ero diventato blu fino alle ossa, nelle viscere di quell’immensa e fantasmatica creatura di ghiaccio che ululando si liquefaceva dentro il mare.