Recensione al libro: Janet Lewis, La moglie di Martin Guerre, Racconti Edizioni 2022
Janet Lewis (Chicago 1899 – Los Altos 1998) è stata una longeva e prolifica autrice americana di poesia e prosa. Sebbene molto stimata dagli scrittori statunitensi, tanto che Larry McMurtry l’ha paragonata a Melville, finora non era stata mai tradotta in italiano. È uscito adesso, per Racconti Edizioni nella traduzione di Eva Allione, quello che è considerato il suo testo esemplare, di certo un piccolo capolavoro nel genere del romanzo breve, pubblicato originariamente nel 1941: La moglie di Martin Guerre.
La vicenda narrata da Lewis è basata sugli atti di un processo realmente accaduto nella Francia della seconda metà del Cinquecento, riportato nel libro di Samuel March Phillips, Famous Cases of Circumstantial Evidence, un classico della letteratura giuridica sui casi indiziari. E raccontato poi dalla storica canadese Natalie Zemon Davis, Il ritorno di Martin Guerre, pubblicato per la prima volta in Italia da Einaudi nel 1994.
Sulle montagne che separano la Francia meridionale dalla Spagna, nella campagna della Guascogna che fa capo al paesino di Artigues, Bertrande de Rols viene data in sposa, all’età di undici anni, a un suo coetaneo, Martin Guerre. Le due famiglie di contadini-proprietari terrieri sigillano con questo matrimonio precoce la pace che non erano riusciti a ottenere in altro modo, tra rivalse e dispetti reciproci. Bertrande, dopo la cerimonia, torna a vivere con i genitori e solo quattro anni dopo raggiunge il marito in seno a un clan di sorelle, zii, servi e lavoranti dominato dal severo piglio patriarcale di Monsieur Guerre, padre di Martin.
La vita nel podere scorre pacifica per Bertrande impegnata in mille incombenze domestiche; rispetta l’autorità burbera del capofamiglia anche se capisce come sia opprimente per il suo giovane sposo obbedire ciecamente al padre e non poter rivendicare alcuna autonomia: ne nasce una complicità inattesa e una forma di autentica passione per Martin; all’alba dei vent’anni Bertrande si ritrova felicemente madre di un bambino. Martin tuttavia, insofferente al giogo paterno, se ne va da casa, abbandona Bertrande insieme al figlio nato da poco, e da quel momento non dà più notizie di sé. Nel frattempo, muoiono Monsieur e Madame Guerre, Bertrande diventa una donna matura che con grazia e determinazione guida e amministra quel che rimane della famiglia e delle sue attività. Passano otto lunghi anni, e quando Bertrande ha ormai trovato pace rispetto al pensiero del marito sparito, Martin Guerre ricompare dal nulla, soldato di ventura finalmente scampato alla guerra. Ma è un uomo diverso dal ragazzo selvatico e ruvido che lei aveva sposato. Gentile con le sorelle, generoso anche coi servi, pieno di premure verso la moglie, Martin riconquista il ruolo di capofamiglia e il cuore di tutti nel podere dei Guerre. Anche Bertrande si lascia ammaliare da quest’uomo che tuttavia la insospettisce fin dal suo primo apparire, non per una questione di rassomiglianza fisica da nulla tradita – ci sono tutte le cicatrici e i denti rotti dalle botte paterne che Bertrande aveva conosciuto nel suo sposo – ma perché lo sente come profondamente diverso dal Martin che conosceva. Ormai incinta di un secondo figlio, arriva a confessargli i propri dubbi e la reazione indulgente e comprensiva del marito è per lei la conferma della sua impostura. Il vero Martin Guerre, a sentirsi dire una cosa del genere – dichiara – l’avrebbe come minimo presa a sberle. Da questo momento inizia la rovina progressiva delle sorti di tutti; Bertrande cresciuta in un rigido credo cattolico si affligge pensando di vivere nel peccato e vuole liberarsi dell’uomo che lei è convinta si finga Martin Guerre, ma sia in realtà Arnaud du Tilh, un furfante della zona. Dopo aver invano cercato aiuto morale nel parroco, trova un alleato nello zio Pierre Guerre e insieme trascinano l’impostore, come lo chiamano entrambi, in un processo che si svolgerà prima nel tribunale di Artigues, poi in quello di Tolosa. I giudici non sanno a chi credere, dopo aver ascoltato moltissime testimonianze tra cui quella dei parenti stretti e di un ex-commilitone di Martin Guerre che aveva già smascherato Arnaud du Tilh, mentre Bertrande si rende conto con amarezza che la giustizia, se dovesse darle ragione, condannerà a morte un impostore che però è stato un uomo buono e amorevole con lei, e con tutti. L’arrivo in tribunale del vero Martin Guerre, ferito in guerra e con una gamba di legno, porterà a un epilogo di incredibile forza icastica poiché se da un lato scioglie i nodi della trama, dall’altro lascia i personaggi al mistero delle loro relazioni, all’intrico di amore e di odio che un matrimonio può generare.
Accostato alla tradizione dei morality play, per l’intenso dibattito interiore che accompagna Bertrande nel cercare di distinguere la verità e nell’opporsi a ciò che lei considera il male, il romanzo di Lewis è soprattutto debitore della tradizione della commedia e della tragedia basate sugli equivoci e gli scambi di persona. Fin dall’antichità greco-romana la sostituzione di un figlio, di un amante, di un fratello con un altro somigliantissimo ha permesso di portare in scena il perturbante, ossia proprio ciò che nei rapporti fra consanguinei, o tra intimi, si rifiuta e si rinnega in quanto svela qualcosa di familiare e rimosso. Lewis, scegliendo di narrare le vicende dal punto di vista di Bertrande, costruisce una storia che scavalca la vicenda giudiziaria, tanto scandalosa che perfino Montaigne vi accenna nei suoi Saggi, e viceversa getta luce su un’identità femminile costretta rigidamente tra l’idea di fedeltà e quella di peccato. Il senso del dovere, della colpa, e la pressione sociale prevalgono anche sull’evidenza dell’amore. Bertrande infatti si innamora di Arnaud du Tilh, ed è felice con lui tanto da concepirvi insieme un altro figlio, solo perché tormentata dall’idea di aver tradito il marito lo trascina in tribunale accusandolo di impostura, ma presto si rende conto che con quel gesto ha segnato la propria sorte e quella di coloro che ama. La vecchia cameriera, quella che l’aveva accolta bambina nella casa dei Guerre, dopo aver ascoltato i suoi dubbi, la supplica infatti: “Madame, io vorrei che vi lasciaste ingannare come un tempo. Eravamo tutti felici allora”. D’altra parte, il vero Martin Guerre, quello al quale Bertrande avrebbe voluto mantenersi fedele, non solo l’ha abbandonata, ma quando la rivede in tribunale non mostra un briciolo di comprensione e di pietà. La solitudine di Bertrande, e l’incertezza del suo destino, non potrebbero essere più spietate. Chi ha amato veramente: un ragazzo egoista sposato per convenienza delle famiglie o un uomo sconosciuto, abituato a vivere d’espedienti, ma sensibile e nobile d’animo?
Lewis conferisce a questo racconto la cadenza di un poema cavalleresco – certe descrizioni di paesaggi e di incontri nel bosco ricordano L’Orlando furioso di Ariosto o La Gerusalemme liberata di Torquato Tasso – e di una fiaba nera che ci avvince fin dall’attacco: “Una mattina di gennaio del 1539, nel villaggio di Artigues si celebrò un matrimonio. Quella sera i due bambini che erano convolati a nozze si misero a letto nella casa padronale dello sposo”.
Le due trasposizioni cinematografiche che ne sono state ricavate, Il ritorno di Martin Guerre di Daniel Vigne del 1982 e Sommersby di Jon Amiel del 1993, hanno spostato il focus sulla figura di Martin Guerre e su quella del sosia Arnaud du Tilh, interpretato nella pellicola francese da Gérard Depardieu e in quella americana da Richard Gere; in entrambi i casi confezionando un melodramma romantico in cui Bertrande difende anziché accusare di impostura colui che si finge suo marito. Viceversa il racconto di Lewis è interamente condotto dallo sguardo e dal sentire di Bertrande de Rols: è lei la vera protagonista, la bambina sognante che diventa una donna onesta e implacabile nell’interrogarsi fino alla fine sull’identità di chi ha sposato, sul bene e sul male che si possono compiere, e sulla fitta trama di illusioni da cui ogni esistenza è intessuta.