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Riccardo Meozzi, Addio, mia bella crudeltà

Recensione al libro: Riccardo Meozzi, Addio, mia bella crudeltà, edizioni e/o 2025

Come immagina l’amore uno scrittore trentenne oggi? Con questa domanda in mente si dovrebbe leggere, Addio, bella crudeltà, l’esordio romanzesco di Riccardo Meozzi, già autore di racconti e di una novella illustrata Piccolo nome, grande sangue (Moscabianca edizioni 2022) perché se c’è un luogo in cui si manifestano le convenzioni sociali, i riti, i rapporti di forza tra persone, e specialmente fra uomini e donne, quello è proprio il rapporto amoroso. Demistificando tanto retorica che vuole l’amore un sentimento universale, la letteratura ci offre da millenni la possibilità di verificare quanto di universale ci sia nel bisogno di amore e quanto viceversa di particolare, di storicamente datato e collocato, si manifesti nelle forme che assume di volta in volta la risposta a tale aspirazione. Per questa ragione è interessante vedere come le nuove generazioni definiscano l’amore in letteratura e soprattutto come lo immaginino, ossia in quale misura ciò che hanno assorbito dalla cultura del tempo si mescoli alle istanze che avvertono come più innovative, perché è pure vero che l’amore è anche il luogo della sovversione, dei possibili cambiamenti.

Riccardo Meozzi sceglie di ambientare la sua storia nei primi anni ’90 del secolo scorso, a rigore un’epoca che non ha conosciuto se non come bambino, è nato infatti nel 1994, data di inizio del suo romanzo, forse perché questo gli consente di sottoporre a verifica situazioni e sentimenti che alla luce dell’oggi apparirebbero sotto etichette correnti come amore tossico, relazione di dipendenza, famiglia disfunzionale, e che allora non venivano nominate come tali, ma in modo più banale ricadevano nell’area degli amori infelici. 

Addio, bella crudeltà racconta le vicende racchiuse in una manciata di anni, di Lidia e Giovanni, due giovanissimi che riversano nel loro legame tutta la radicalità e le incertezze dei ventenni. Il loro è un rapporto asimmetrico, dove Giovanni prevale e stabilisce le regole fino a quando non si ammala, allora il rapporto di forza si ribalta a vantaggio di Lidia. Il racconto procede a ritroso, a partire dalla stanza e dall’atmosfera claustrofobica e straniante dove Lidia sta insieme a un uomo, stesa sul pavimento, a bere vino da una bottiglia e a domandarsi se l’intensità del suo passato tragico allenterà mai la presa consentendole di vivere nell’oggi, di fare l’amore per esempio con questo uomo che garbatamente la corteggia. Il presente da cui il tempo comincia a volgersi all’indietro è quello di una giovane donna in lutto, tutto intorno a Lidia e dentro di lei è disadorno, svuotato: la stanza senza mobili, l’incapacità a ricordarsi il nome di chi ha davanti; è lo spazio perfetto per accogliere il ricordo di ciò che le è accaduto. Questo bel dispositivo narrativo non è solo un modo per risalire al momento dell’incontro con Giovanni, ma funziona anche per intrecciare la storia d’amore dei due giovanissimi protagonisti alla loro progressiva formazione come persone adulte, il romanzo di formazione di due tardo-adolescenti che si fonde con una vicenda drammatica. Lidia e Giovanni si sono conosciuti al liceo, quando erano ancora ragazzini, ciascuno con i propri problemi: lei introversa, insicura e alle prese con una madre che la tiranneggia, un fratello già sposato con figlio e moglie che vivono in casa dei genitori, lui ripetente di due classi perché afflitto da emicranie che gli impediscono di fare nient’altro che starsene al buio e che prima di manifestarsi spesso lo inducono a scoppi di aggressività e ira. Hanno conosciuto la complicità di chi si scopre e si riconosce, la passione accecata dei ventenni che vivono tutto con l’assolutezza della prima volta. Lidia soprattutto trova in Giovanni la possibilità di essere vista. “Del suo corpo, a eccezione dei nei, non aveva alcun parere. Si chiese come fosse possibile, considerato che tutte le altre ragazze -e perfino le donne più anziane- sembravano averlo. Quando si pensava, immaginava a ciò che sarebbe potuto andare storto o agli aspetti meno belli dell’essere un corpo: che le ossa potevano spezzarsi, e poi al sangue che quatto le scorreva dentro, al dolore delle ovaie e alla diarrea il primo giorno del ciclo. Non sapeva valutarsi, non sapeva darsi un prezzo, e quello che diceva di sé lo aveva imparato dalle altre, perché faceva parte di una comunità dove il confronto veniva ogni minuto, dove scambiarsi informazioni sulla carne e sull’aspetto era fondamentale. Lidia sapeva anche che era importante mostrarsi inconsapevoli agli occhi dei maschi, che avevano loro il potere di confermare o screditare l’immagine che ti eri data. Che se dicevi che eri brutta mentre parlavi con loro allora era probabile che ti venisse risposto che eri il contrario, che eri bella, che piacevi.” 

Giovanni a sua volta trova in Lidia l’argine e il riparo a quella tenebra che lo perseguita e che lo rende estraneo perfino a se stesso. Appena ottenuta la maturità si sposano e iniziano una vita che per entrambi dovrebbe essere un’emancipazione dalle rispettive famiglie, dal contesto provinciale un po’ annoiato e maldicente, come ci si aspetta da qualsiasi provincia. Ma Giovanni si scopre gravemente ammalato di un tumore al cervello che è la causa delle emicranie paralizzanti, l’intervento non lo salverà se non momentaneamente. Indebolito, non autosufficiente e con nessuna prospettiva di vita, Giovanni da dominatore, sempre sul limite della violenza, diventa fragile e dipendente dalle cure di Lidia che assiste impotente allo sgretolarsi dell’idolo che si era costruita e dell’identità che ne ricavava per riflesso. 

Addio, bella crudeltà è un romanzo dolente sulla giovinezza che dura l’éspace d’un matin, con il suo splendore e con le sue illusioni. L’impatto con il mondo adulto, con la malattia e con la morte, fa deflagrare i due protagonisti e li lascia inermi, senza nemmeno accordare loro lo spazio per l’elegia. Ma la pragmaticità di Lidia davanti alla morte del marito e al fatto di ritrovarsi incinta, ci consegnano una figura femminile potente che da vulnerabile diventa fortissima e matura, capace di decidere per sé senza nessuna indulgenza all’autocommiserazione. Lidia senza lo sguardo di Giovanni su di sé, dovrà elaborare un proprio sguardo sul mondo. Il finale antitragico del romanzo ci lascia capire che saprà farlo, liberandoci anche dall’ultima ipoteca degli amori romantici e fatali.

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