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Rossella Milone, “Gli analfabeti”

Recensione al libro: Rossella Milone, Gli analfabeti, Industria e Letteratura 2023

Non potrebbe esserci testo più appropriato nella collana di racconti lunghi “L’invisibile” diretta da Martino Baldi per Industria e Letteratura di quello, ora in uscita, di Rossella Milone, Gli analfabeti.

Una novella che mette a tema ciò che non si vede e ciò che non si dice, sebbene sia parte consistente del vissuto, e che si avventura nel terreno affascinante e insidioso di quello che la letteratura può, viceversa suggerire, al confine fra rappresentazione interiore e realtà.

Protagonista è un giovane uomo, Alessio Merola, che di mestiere fa l’educatore e lavora in una scuola elementare negli orari del pre-scuola e del dopo-scuola; intrattiene i ragazzini con attività all’aperto, disegno, teatro, raccolta e riciclo di materiali; cura una dimensione creativa che sempre più spesso rimane fuori dai programmi educativi e che, viceversa, costituisce uno spazio espressivo importante per i bambini. Ma Alessio è una persona speciale nel senso che è dotato di una forma di empatia così forte da fargli avvertire i pensieri nascosti, le emozioni profonde, e spesso represse, di chi lo circonda. Vede e sente l’invisibile; tanto che proprio durante le sue ore accade un fatto che dà avvio alla storia: una bambina, Emilia, sembra essere scomparsa, Merola sa che non si trova lontano dal giardino dove tutti stanno giocando, ma sa anche che le è successo qualcosa. Quando la trova, vede che ha una gamba escoriata e sanguinante. Con la confidenza che i bambini accordano ad Alessio Merola, avvertendone la capacità di vedere oltre l’apparenza, Emilia vince la propria riluttanza a indicare l’autore dell’aggressione che ha subito e rivela a Merola che è stato Teo, un bambino più grande che – aggiunge – gira sempre con un chiodo in tasca. Scoperto anche da una bidella, Teo deve sostenere un confronto con la preside che vorrebbe chiudere in fretta e senza strascichi la faccenda, e con Merola che capisce invece come quel gesto violento sia stato per il bambino un modo per dare sfogo a una rabbia a lungo covata, un sentimento legato in modo oscuro ai genitori e alla madre in particolare. Da quel momento per Merola si susseguono una serie di incontri e di episodi di fraintendimento con genitori dei bambini e membri della piccola comunità in cui vive che stringeranno il cerchio intorno a lui, fino a farne il bersaglio di una malevolenza collettiva che vuole un capro espiatorio per le proprie piccole o grandi magagne individuali e familiari.

La trama ricorda quella del film del danese Thomas Vinterberg, The Hunt, palma d’oro a Cannes nel 2012, dove un maestro di scuola cadeva nella spirale della persecuzione dei propri amici e conoscenti dopo essere stato accusato ingiustamente di aver abusato della giovane figlia del suo miglior amico. Tuttavia, la scelta di far entrare in gioco i bambini, come soggetti in grado di percepire l’invisibile ma anche dotati di una sensibilità manipolabile dagli adulti, risale ad almeno un grande precedente letterario, ossia a Giro di vite di Henry James, una delle novelle più enigmatiche e resistenti a un’interpretazione univoca, tanto che tuttora la critica si divide non tanto sul senso, quanto su ciò che possa essere realmente accaduto fra i due giovani protagonisti, Miles e Flora, e le figure di istitutrici e attendenti della dimora aristocratica nell’Essex in cui è ambientata la vicenda.

Rispetto a questi modelli, Gli analfabeti sviluppa un piano della scrittura ulteriore e originale: a Milone preme indagare cosa sia e cosa comporti l’empatia per Alessio Merola, lo fa a partire dalle manifestazioni fisiche che questa imprime sul suo corpo che coincidono con i momenti di maggior tensione linguistica del testo. L’educatore vive una sorta di sconquasso e vertigine costante perché percepisce troppo, la sua psiche è permeabile a quella altrui e ne traduce in modo fisico i movimenti più profondi: “Alessio a volte non capiva dove finiva lui e dove iniziavano gli altri, e spesso aveva bisogno di lunghi periodi di sonno. Il sonno placava il turbinio delle storie degli altri e aveva imparato ad addomesticare la loro invadenza innalzando confini, steccati, fili spinati. Ogni persona era una violazione”.

Lungi dall’essere un privilegio che concede un vantaggio sugli altri, l’anti-vedere come l’avrebbe chiamato lo scrittore Javier Marias che su questa capacità ha costruito personaggi memorabili, impone a chi lo vive un’allerta senza tregua, non solo perché la quantità di disagio nel prossimo è soverchiante, ma anche perché rivela come ciò che accade spesso non collimi con ciò che viene detto e ancora meno con le intenzioni e i sentimenti di chi vi è coinvolto. Ciò che Alessio Merola ha intuito, e peraltro mai esplicitato, dietro la levigata efficienza della madre di Teo è così fastidioso per lei stessa che alla prima occasione getta discredito sull’educatore. E d’altronde come credere ad Alessio Merola, uno che ‘sente’ le cose, una merula ossia un merlo, poiché questa e la radice latina del cognome passata al dialetto napoletano? A rendere infatti l’educatore ancora più inattendibile, risibile o pericoloso agli occhi degli abitanti del paesino ai piedi del Vesuvio, dove Milone ambienta la sua novella, è infatti la donna alla quale si accompagna, Tilde, che legge i fondi delle tazzine del caffè, raccoglie pietre e minerali, cura con le erbe, secondo l’antica tradizione campana delle janare. Questa figura, alla quale i vari personaggi del racconto si sono rivolti in diversi momenti della loro esistenza, è anche l’emblema della rimozione collettiva che tutti operano nei confronti della sfera dell’indicibile e dell’invisibile. Tutti sanno che esiste, in molti vi fanno ricorso, eppure lo negano. I desideri, le paure, i pregiudizi che costituiscono la trama della vita di una comunità o di una famiglia, vengono censurati e camuffati. A farne le spese è Alessio Merola, perché la sua comprensione del prossimo implica per lui anche farsi carico del dolore: “Alessio aveva imparato che comprensione e nudità sono due cose molto vicine, che si cercano a vicenda, che si rifiutano anche, ma che soltanto così svestiti e infreddoliti è possibile ricevere il dono degli altri.” Ma quanti sono disposti a farsi vedere nudi, a essere compresi e a comprendere a loro volta, poiché come suggerisce Milone non c’è comprensione dell’altro se non attraverso la comprensione e l’accettazione di sé?

Con Alessio Merola Milone ci consegna un personaggio col quale è istintivo simpatizzare – a chiunque è capitato di vedere qualcosa che gli altri non vedevano o non volevano vedere – ma che ci interroga anche su come l’empatia possa essere un’arma a doppio taglio. Merola non è una vittima, piuttosto è colui che si sente responsabile di ciò che sa, e ci pone la domanda: è possibile imparare a gestire la fatica che ogni sapere comporta?

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