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Maurizio Landini

ArticoloMaurizio Landini, il Fatto Quotidiano, 11 febbraio 2013

Dicono che sono pericoloso. Un treno che corre all’impazzata e si rifiuta di entrare in stazione. Io, per me, sono contento di chiamarmi Maurizio Landini, e di sapere che prima di tutto sono un cittadino, e che quando avrò finito di fare il segretario generale della Fiom – perché le cariche scadono come è giusto che sia – vorrei come cittadino non vergognarmi di quello che ho lasciato. Qualcuno pensando di fare lo spiritoso ha detto che sono l’Ingroia dei sindacati. Fini che sono un comunista, come se poi fosse un’offesa, ma l’offesa era nell’aggiunta: fuori tempo massimo. Il presidente Monti ha detto che sostengo posizioni “nobilmente arcaiche”. E va notata la finezza con cui, ogni volta che deve dire una cosa non vera, si premura di metterci un bell’avverbio lungo davanti: a me è toccato nobilmente (arcaico), a Crozza pateticamente (disinformato). Dunque io sarei pericoloso, anche per un futuro governo di centro sinistra. Deve essere perché ho ricordato che lavorare stanca, che i lavoratori non sono estinti, come qualcuno credeva, e m’infiammo quando parlo e le parole vengono fuori una in fila all’altra, come i fatti che ho ben in mente, perché le parole senza i fatti contano fino a mezzogiorno. Io inizio piano e pacato ogni volta, perché le cose le voglio esporre con chiarezza e con precisione, perché gli argomenti devono capirli tutti, ma poi dopo un po’ sento salire la voce e le spalle s’irrigidiscono, il cuore arriva in gola mentre con le mani – pugni chiusi indici alzati – mulinello, come se volessi togliere quella nebbia che le parole a vuoto e le promesse disattese creano nella testa. Dal tanto che c’è nebbia nella testa della gente, la Fiat pensa di poter dire impunita: eh ci siamo sbagliati, il Piano Fabbrica Italia era un errore, avevamo previsto una produzione di 1 milione e 400 mila auto, ma niente, e anche i venti miliardi di investimento erano uno scherzo. Peccato che a fare questi calcoli sbagliati siano gli stessi che poi ti dicono che sei ‘arcaico’ perché non ti misuri con i numeri del mercato. Qui se c’è qualcuno che dà i numeri non sono io (ecco, mi sono partiti gli indici, mulinello, con le mani mulinello, non ci posso fare niente).

Non è un problema fra me e Marchionne, fra la Fiom e la Fiat, o di quei 19 operai di Pomigliano che adesso prendono lo stipendio, ma non possono tornare al lavoro. Pericolosi anche loro, infiommati fino al collo. Il problema è il modello di sviluppo del nostro paese, le condizioni di tutti i lavoratori se la competizione è allargata a sette miliardi di persone. Io dico: discutiamo di un piano energetico (che non c’è), di un piano industriale (idem come sopra), di un piano di mantenimento del territorio (vade retro, piuttosto trivelliamo in zona sismica). Mi danno dell’esagitato. Marchionne dice che non c’è da preoccuparsi, che fra 4 anni saremo tutti a posto, lui ha fatto un sogno in proposito. Io intanto penso che se anche solo la metà dei Cinesi, nei prossimi 4 anni, accende l’aria condizionata il pianeta va in black-out. E che gli Indiani e i Brasiliani presto diranno anche loro: lavoriamo troppo, guadagniamo poco, abbiamo troppo caldo o troppo freddo. E avranno ragione. Ma chi ci governa e Sergio Marchionne, nella sua casa svizzera blindata, pensano mai di notte quando anche le fabbriche sono silenziose: dove stiamo andando, cosa stiamo producendo, per chi stiamo producendo? Sergio, ma che sogno hai fatto?

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