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Tondelli, trent’anni dopo

Articolo: Tondelli, trent’anni dopo, La lettura, 17 ottobre 2021

Trent’anni sono un arco temporale breve per la storia letteraria, ma nell’accelerazione contemporanea dei consumi che divora autori, temi e tendenze, possono essere un primo indicatore di persistenza. Cosa si è sedimentato e cosa è stato trasmesso, mentre venivano meno quelli che ora sono considerati i grandi autori del Novecento italiano, e s’inaugurava una stagione in cui il valore dell’intellettuale e del libro subivano un processo di precarizzazione e ridimensionamento notevoli? È una domanda che ha senso porsi a proposito di un autore come Pier Vittorio Tondelli (Correggio 1955-Reggio Emilia 1991) che in poco più di un decennio (1980-1991) ha esordito diventando un caso letterario ed editoriale con Altri libertini, ha sperimentato con molta consapevolezza diversi approcci linguistici e stilistici – Camere separate è un romanzo quasi tradizionale –, ha portato l’urgenza di uno sguardo critico e curioso sull’attualità, Un weekend postmoderno ne raccoglie il frutto, infine ha lavorato per gli altri: i giovani e giovanissimi alla ricerca di una propria voce e di uno spazio di pubblicazione. Non è poco per una vita, e una carriera, così brevi.

Tondelli è vivo oggi nella memoria dei compagni di strada che gli sono sopravvissuti: Mario Fortunato gli ha dedicato il bel memoir Noi tre (Bompiani 2019), Fulvio Panzeri continua a curarne gli scritti, l’ultimo è la raccolta appena uscita per Bompiani Viaggiatore solitario. Interviste e conversazioni 1980-1991.Ed è altrettanto vivo nell’immaginario delle scrittrici e degli scrittori di almeno tre generazioni. Raccoglierne le testimonianze, che non saranno esaustive, ma quantomeno indiziali, mi è sembrato un primo passo per mettere al vaglio la sua eredità.

C’è chi in Tondelli ha trovato un proprio pari, ad esempio Marco Belpoliti: “La pubblicazione di Altri libertini è stata come una ventata d’aria fresca. Finalmente si parlava di noi, delle nostre storie e della nostra vita. Anche se la mia non corrispondeva perfettamente con quella dei personaggi del libro, c’era però qualcosa di mio in tutti loro. Ho riletto in questi quarant’anni il libro di Pier, e l’ho trovato ancora vero e fresco come allora. Un capitolo della nostra letteratura oltre che un documento di vita e di immaginazione”. Insieme a Luca Scarlini: “Il primo incontro fugace, in una notte fiorentina. Io un ragazzino strafottente, lui lo scrittore del momento, contornato da un coro salmodiante di teatristi. Qualche altro frammento veloce di notti della città che Tondelli ha anche troppo celebrato, come luogo perfetto della fauna d’arte. Poi una visione rapida all’auditorium del Museo Pecci a Prato, vicino di posto a sentire l’allora popolarissimo Wim Mertens, come racconta in Un weekend postmoderno.Per me è quello il libro che ha contato, di cui avevo letto vari pezzi prima su “Rockstar”, nella celebrata rubrica Culture Club. Mi piacevano la curiosità, il rifiuto dello specialismo, l’attenzione partecipe alle rappresentazioni del desiderio. Poi tutto cambiò, nell’età funesta dell’AIDS, che in Italia è stata dimenticata, né esplorata per le sue radicali risonanze artistiche. Il mio romanzo è solo Camere separate, canto funebre di un’epoca e di una generazione”.

C’è chi ha attinto a Tondelli per esprimere la propria diversità e una postura esistenziale, oltre che letteraria, come Chiara Valerio: “Venendo dalla provincia e intuendo mi piacessero le ragazze, ho letto Tondelli come una guida, capendo, quasi subito, che per me non poteva esserlo. Troppi disordini manifesti, o così mi era sembrato allora. So però che devo a Pier Vittorio Tondelli – che non è tra le scritture che rileggo – la prassi che la solitudine è qualcosa che va difeso. Così dice Leo, nel suo magnifico Camere separate, anche quando gli manca Thomas, la sua solitudine non è disperazione. Ecco, la prassi della solitudine, la capacità di intrattenersi da soli e di non essere dunque foraggio per il sistema dei media e dei social contemporanei è una cosa che devo, o che voglio dovere, a Pier Vittorio Tondelli. Più che i disordini, più che la provincia, più che i costumi sessuali. La solitudine”. Ma anche Teresa Ciabatti: “Letto da ragazzina mi è sembrato un meraviglioso mondo lontanissimo. Solo a distanza di tempo, almeno vent’anni, ho capito cosa c’era di me in quei libri, ed è germogliata la rivendicazione d’identità come spinta narrativa: via l’idealizzazione dell’io, via il pudore. Oggi più che mai – con una generazione di ventenni che sembra derivare direttamente da lui, la stessa libertà, lo stesso rifiuto della semplificazione – Tondelli è uno scrittore modernissimo, profetico.” Insieme a Tommaso Giartosio: “Per me Tondelli è soprattutto l’autore di Camere separate, non perché sia un libro migliore degli altri, ma proprio perché è il suo romanzo meno originale, in cui compie il gesto sommativo che tutti noi presto o tardi dobbiamo compiere ricongiungendo giovinezza e maturità, sesso e morte, mondanità e solitudine, materia e spirito, con la libertà terminale di spezzare i parallelismi e congiungere anche la giovinezza alla solitudine, o la spiritualità all’eros. È il Tondelli che riconosce, attraverso Leo, il nodo che lega tutti i fili: “La sua diversità (è) proprio il suo scrivere, il dire continuamente in termini di scrittura quello che gli altri sono ben contenti di tacere”.

Per alcuni è stato un mentore, come per Romolo Bugaro: “Ricordo Pier Vittorio Tondelli a Roma nel 1987, in occasione dell’uscita del secondo “Under 25”, Belli & Perversi. Eravamo sulla scalinata di Piazza Navona insieme agli altri giovani (all’epoca) partecipanti al progetto, per un servizio fotografico dopo un’intervista collettiva. Il fotografo stava sistemando faretti e ombrelli riflettenti in mezzo al viavai. Un ragazzo di passaggio aveva lanciato un’occhiata al nostro gruppo seduto sugli scalini in attesa degli scatti e aveva commentato: “Ammazza che brutti, ’sti fotomodelli!” Tondelli era scoppiato a ridere, come tutti noi, e aveva scosso la testa. Negli anni successivi lo avevo sentito al telefono. Si informava sul mio percorso. Come andavano le cose, con la scrittura? Che progetti avevo in cantiere? Era attento, interessato, incoraggiante. Una vicinanza da lontano, un giovane maestro che non avrebbe mai accettato di farsi chiamare così.” O Christian Raimo: “Tondelli ha incarnato una figura di intellettuale imprescindibile per la sua capacità di conoscenza del contesto internazionale e di animatore culturale, lo si evince da un libro come Weekend postmoderno. Come se avesse avuto sentore della rete, ossia della immensa mappa in continuo movimento che si andava sviluppando intorno all’oggetto libro. Per me è stato una sorta di fratello maggiore nella mia formazione e a lui devo una pratica di libertà linguistica.

Per altri Tondelli è lo scrittore che ha catturato un’essenza ancora presente e attiva, come per Liborio Conca: “Nel tempo ho accumulato un numero di libri che devono essere a portata di mano, immediati da trovare, sul comodino o sulla scrivania. In questa shortlist compare Un weekend postmoderno di Pier Vittorio Tondelli, che periodicamente apro, sfoglio, mangiucchio. Raccolta di articoli, reportage e piccoli racconti; frammenti che spaziano dalla musica alla videoarte o si spingono tra le cabine del litorale romagnolo: è a queste pagine, slabbrate e a volte anche naïf, imperfette, caotiche, che associo la parola ‘tondelliano’. Vale a dire un universo artistico che Tondelli ha rappresentato come pochi altri in Italia, dentro uno spazio geografico – le sue aperture all’Europa, sia occidentale che orientale – e umano, partito dai vagabondaggi disperati di Altri libertini per arrivare al lirismo intimista di Camere separate. Tutto nel volgere di pochi anni, sufficienti a disegnare un immaginario; come gli Smiths, mi viene da pensare, la band inglese a cui Tondelli dedica righe bellissime proprio nel Weekend postmoderno”. Ma anche per Tiziana Lo Porto: “Avevo vent’anni negli anni novanta, e Tondelli è stato il più giovane dei miei lontani maestri. All’epoca scoprivi i libri dal passaparola, un amico o un’amica che diceva, leggi questo, leggi quello. A me era stato un amico a dire di Tondelli, leggi Pao Pao, aveva detto. Era pomeriggio in un vicolo del centro storico di Palermo, e Tondelli era già morto. La scarsa distanza tra i miei vent’anni e il suo io più vecchio (36 anni, il 1991) ha reso la scrittura una cosa vicina e possibile. I suoi libri li ho letti con lentezza e in ordine casuale, molti li custodisco nello scaffale di casa che vedo per primo, quando mi siedo sul divano”. E per l’esordiente Nikolai Prestia: “Tondelli con Altri libertini mostrava la perfetta diagnosi ai paraocchi dell’Italia degli anni ’70-’80: la generazione dei giovani sperimentava una cura per un male invisibile nei salotti. E forse incurabile. La sua letteratura ebbe da noi lo stesso effetto dei Clash o di Bill Hicks mentre le propagande distraevano gli Americani: scandalizzava, divideva, interrogava. Le parole ricercate in contrasto con lo slang e le bestemmie, in alcune edizioni oscurate, mostravano l’altra faccia della Luna, oscura ma non per questo meno vera: che si intuiva ma che si ignorava in una forzata visione aulica della vita. Per me è stato uno scrittore necessario, ha saputo ridefinire il concetto di solitudine, non più come sensazione percepita stando da solo in una stanza, ma come qualcosa che divora quando si è in mezzo agli altri, e allo stesso tempo ha riscoperto la conoscenza e la curiosità per se stesso e per le proprie inclinazioni come rimedio”.

C’è chi vi si è accostato, spinto da altre letture come Rossella Milone: “Succede quasi sempre che i libri chiamino altri libri, e io Pier Vittori Tondelli l’ho conosciuto grazie a un altro autore, molto meno conosciuto di lui, ma che amo di più: Silvio D’Arzo, anche lui emiliano e amatissimo da Tondelli. Entrambi scrittori eterodossi, entrambi attenti alle dinamiche sotterranee di un territorio specifico. Appassionata di D’Arzo mi dissi: voglio capire se ciò che spinge me ad amare D’Arzo corrisponde a ciò che Tondelli ama di lui. Così cominciai a leggerlo, e a scoprire che i due scrittori pur nella loro lontananza stilistica e percettiva, sono mossi dalla stessa pulsione: l’affetto, l’attenzione e la curiosità etnografica per la provincia e i suoi smottamenti sotterranei. In Tondelli ho imparato ad amare il connotato drammatico che si assorbe, quasi fino a nascondersi, negli interstizi delle sue narrazioni. Questo tratto mi sembra così specifico delle realtà provinciali, e talmente aderente all’atto della scrittura, da avermi sempre portato a pensare che Tondelli riuscisse a ricavare un’essenza della parola scritta, mai pienamente penetrabile”. E Vanni Santoni: “Tondelli mi arrivò per accostamento: scrissi un libro in cui c’erano protagonisti giovani e dediti a cattive abitudini, e subito qualcuno in qualche recensione scrisse: ‘Tondelli’. L’influenza vera era (ed è) Pazienza, ma da lì approfondii e mi appassionai. Trovai molte cose; forse, su tutto, un modo di guardare le piccole e medie città italiane in modo da farle ancora brillare, e dar vita così a una provincia ancora capace di sperare”.  Infine, c’è chi riflette su Tondelli dal punto di vista editoriale, come Claudia Durastanti: “Ci sono tre momenti che definiscono il mio rapporto con Pier Vittorio Tondelli. Il primo è dopo un viaggio in India a vent’anni, quando il mio ragazzo mi regala Altri libertini e io resto nauseata. Leggo il libro arrabbiata, sentendolo dissonante, fuori moda, persino arrogante. Il secondo momento è dieci anni dopo, nella redazione de il Mucchio Selvaggio, quando Liborio Conca decide di dedicare venticinque pagine a Tondelli: venticinque pagine monografiche non esistono quasi più nelle riviste e nei supplementi culturali, e viene fuori uno speciale carico di amore, intensità, anche ostinazione. Mi riavvicino a Tondelli. Il terzo momento è in un campus americano dove sto parlando di letteratura italiana e alcuni studenti che studiano comparatistica – sono americani, tedeschi, venezuelani, francesi – vengono da me con delle fotocopie di stralci di Tondelli e mi chiedono perché «il più grande scrittore italiano» sia così poco tradotto e così poco disponibile, perché sia uscito così poco fuori dai confini nazionali nonostante la sua fame di mondo. E così ho trascorso la mia ultima estate americana a parlare di Tondelli – e di Camere separate in particolare – nelle riviste, a editor e redattori, cercando di tradurne dei passaggi, di riattivare il sistema sanguigno del suo ricordo e dimostrare che, anche se a volte lo si considerava derivativo dall’America, oggi mi pare valere proprio il contrario, e Camere separate e Rimini mi sembrano l’influenza sotterranea, mai letta e inconscia, di tante nuove scritture un po’ straniere sul posto (Ocean Vuong, Bryan Washington)”. E Daniele Benati, che lo colloca in un momento preciso della storia letteraria ed editoriale: “Con Tondelli l’editoria italiana s’è trovata a fare i conti con ciò che era già stato capito dall’industria discografica quindici anni prima. Ossia che esisteva un pubblico giovanile e che questo pubblico andava preso in considerazione, dato che anche i giovani scrittori esordienti sembravano trovare i loro modelli e i loro punti di riferimento proprio nel mondo della musica. Il beat, il cantautorato nostrano e quello d’oltreoceano, assieme all’energia trasmessa da uno scrittore come Jack Kerouac, molto bistrattato in Italia dall’establishment accademico e letterario, sono serviti a Tondelli per rimettere in gioco forme narrative squalificate dallo sperimentalismo, come quelle caratterizzate da una certa tendenza all’autobiografismo o basate sulla sulla semplice consuetudine di raccontare storie”. E Mario Desiati: “Pier Vittorio Tondelli è stato uno scrittore rivoluzionario per  la narrativa italiana. Ancora oggi giovani autori e intellettuali ne sono influenzati e ne scrivono. Importante per me il saggio di Olga Campofreda, Dalla generazione all’individuo. Giovinezza, identità, impegno nell’opera di Pier Vittorio Tondelli (Mimesis 2020).  La sua visione del maschile, che oggi potremmo definire queer, come scrive il giovane critico Luca Starita, e la sua attenzione ai linguaggi, rappresentano un modello. Tondelli resta uno di quegli scrittori da  leggere e rileggere ancora a distanza di decenni per capire questo Paese e le sue evoluzioni”.

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