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Il doppio, lo specchio e la creazione

18 Febbraio 2015

Rudolf Nureyev e Kader Belarbi alle prove del balletto “Apres-midi d’un faune”

Questa fotografia m’incanta. Il celeberrimo ballerino e coreografo russo, Rudolf Nureyev, sulla cinquantina e ormai molto provato dalla malattia che lo porterà alla morte il 6 gennaio 1993, prova insieme a Kader Belarbi, allora giovane étoile de l’Opéra parigina, un momento del balletto Après-midi d’un faune su musiche di Claude Debussy e nella coreografia di Vaclav Nijinsky. Si guardano con intensità, lo scatto coglie un momento in cui l’attenzione non è tanto sulla forma perfetta della posa, quanto probabilmente sulla sua interpretazione: i due stanno in posizione speculare, con un ginocchio a terra, le mani rilassate anche se sollevate ai lati della testa a novanta gradi, come se stessero riflettendoci sopra. Nureyev parla, spiega, suggerisce. Kader in costume di scena lo ascolta completamente assorbito, esce dal personaggio del fauno e nei suoi occhi si vede l’allievo, docile agli insegnamenti del maestro.

Cosa succede quando imitiamo la posa di una persona, quando conformiamo i nostri gesti ai suoi? Nella vita normale è di solito registrato come un segno di attenzione, di immedesimazione, quando avviene talvolta ci mette a disagio, che lo vogliamo o meno l’imitazione corporea abbatte una barriera e crea un campo comune, dove non si è più da soli, dove ci si riflette, ci si specchia e ci si misura.

Forse è nella danza, più che in tutte le altre arti, che l’imitazione si rivela come base imprescindibile. Il maestro mostra il passo, il gesto, la postura e l’allievo li esegue. Eppure sappiamo che in qualsiasi gesto atletico e artistico l’imitazione non è che il primo livello, per appropriarsi di un contenuto o di una prestazione, per rimanere nell’ambito dell’espressione fisica. Ma allora quando e come si sprigiona il tratto individuale che rende un’esecuzione qualcosa di più, trasformandola in un’interpretazione originale e quindi in un’espressione artistica autonoma?

È un momento davvero difficile da trovare, ma è quello che io vedo catturato in questa fotografia. Nella bella tensione di sguardi, nel passaggio di testimone che configura. Come me e oltre me, sembra dire Nureyev. Entrambi, Rudolf e Kader, sono dentro un processo creativo e ne sono consapevoli.

Succede anche in letteratura, in maniera più silenziosa e meno rappresentabile. È quello che accade ogni volta che si è letto un testo letterario amandolo studiandolo prendendolo a modello fino a che non lo si è metabolizzato tanto da diventare nutrimento e linfa per qualcosa di nuovo. E non c’è gioia più grande per chi scrive di passare del tempo coi propri maestri.

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4 Commenti

  1. Grazie, Giulio, di questa ammissione. Tutti gli scrittori imitano, pochissimi lo ammettono.

  2. Tanto tempo fa, credo nel 1991, lessi Grande raccordo di Marco Lodoli. Di quei racconti mi rimase una cosa: la sensazione – la sensazione proprio fisica – di un cadere a spirale, lentamente. Nei primi racconti che scrissi fu quella sensazione a guidarmi: imitavo.

  3. è una gioia amorosa, peraltro. Si può solo insegnare, e imparare, amando. Lo diceva Socrate.

  4. “non c’è gioia più grande per chi scrive di passare del tempo coi propri maestri”: quanto è vero

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