Qualche giorno fa ho visitato la mostra in corso al Mast di Bologna, fino al 3 maggio, “Emil Hoppé, il segreto svelato”, curata da Urs Stahel.
Fotografo attivo soprattutto tra gli anni venti e trenta del secolo scorso, fu l’autore di scatti sul lavoro industriale, sulle fabbriche, sulla tecnologia legata alla produzione meccanizzata che probabilmente non hanno uguali, per quantità e qualità, tenuto conto che si mosse in diversi continenti per realizzare i suoi scatti.
La mostra bolognese ne espone centonovanta, dove si coglie tutta la fascinazione per le macchine che però, a differenza di quanto avviene nella coeva pittura futurista o cubista, non tentano nessuna mimesi nei confronti dell’oggetto ritratto.
Piuttosto queste nitidissime stampe ai sali d’argento fissano volumetrie esatte, nuovi rapporti antropometrici fra l’uomo, lavoratore, e la macchina in profondità di piani, in alzati di ombre e luci che ricordano gli studi prospettici rinascimentali.
Scheletri di sommergibili, turbine, caldaie, interni di officine, aeroplani, eliche, cavi elettrici, fabbriche e impianti di estrazione del gas e del petrolio, ponti in costruzione e navi, questi sono i soggetti sui quali Hoppé posa uno sguardo pieno di concentrazione e di capacità di vedere il disegno ulteriore che qualsiasi struttura proietta.
Per questo riesce a catturare l’aura di oggetti in apparenza per nulla poetici. In una delle didascalie in cui tramite le parole del fotografo stesso si spiega il procedimento di stampa, compare il termine roundness, come esito di tale procedimento.
La frase lascia pensare che tale esito sia da intendere legato al chiudere e aprire l’obiettivo in tempi che permettano un’entrata dilazionata della luce, ma potrebbe essere anche proprio l’effetto di rotondità che le sue fotografie hanno ciò che Hoppé ha voluto consapevolmente esprimere.
Una rotondità che dichiara l’esistenza qui ed ora dell’oggetto con la sua funzione, ma ne lascia intravedere anche il disegno per così dire più astratto, quello legato alla sua geometria interna al suo correlarsi allo spazio circostante come pura presenza plastica, ossia in ultima analisi artistica.