A fine gennaio 2020, quando ancora ci trovavamo in era pre-pandemica o forse vi eravamo già entrati ma non lo sapevamo, andai a vedere Arte Fiera a Bologna, e lì mi imbattei nell’opera di Adelaide Cioni “Ab ovo”.
Fu amore a prima vista non solo per la qualità accostante pur nella dimensione astrattiva che hanno tutte le opere di Adelaide Cioni, ma anche perché l’uovo nel mio ultimo romanzo riveste un ruolo figurale importante: è il dono fatto dalla protagonista all’amica, è il simbolo dell’incarnazione e della generazione, è l’oggetto che pende sulla testa della Madonna della Pala di Brera di Piero della Francesca e che attira l’attenzione per il suo essere sospeso al nulla, forma perfetta e inscalfibile.
L’uovo di Piero della Francesca mi sembrava un po’ l’equivalente visivo di quel concepimento senza congiunzione carnale che avviene, grazie alla fecondazione eterologa, nel mio romanzo.
Un’astrazione della medicina che scardina i meccanismi fisiologici e consente un’altra vita, là dove non sarebbe stato possibile. Poi nel dipinto ci sono molti altri elementi che sono finiti nel mio romanzo: la posizione instabile del bambino che pare scivolare dalle ginocchia della madre, l’imperturbabilità della Vergine, dei Santi e degli angeli, i riflessi misteriosi sull’armatura di Federico da Montefeltro, la luce tersa e irreale quanto l’architettura che li racchiude.
L’uovo di Adelaide Cioni, morbido e spugnoso, è così diventato la copertina del mio libro, e di questo le sono grata.