Il mio primo incontro con la nozione che possa esserci stato un momento nella storia dell’umanità in cui la società era organizzata e retta dalle donne, anziché dagli uomini, è avvenuto grazie a un libro molto bello della scrittrice canadese Margaret Atwood, tradotto in italiano come Il canto di Penelope.
Atwood immagina che Penelope racconti la propria storia dall’aldilà, dove passeggia nei campi elisi, brucando ogni tanto qualche fiore di croco, chiacchierando con le amiche e ricordando la vita terrena; mentre Ulisse e la bella Elena non resistono alla tentazione di tornare fra i vivi, reimmergendosi nel ciclo senza fine delle vicende, Penelope mette ordine ai ricordi e ci racconta la sua versione dei fatti. Uno spazio inedito acquisisce l’episodio dell’uccisione delle dodici ancelle da parte di Ulisse, dopo il ritorno a Itaca e la riappropriazione del trono. Che bisogno c’era, si domanda Penelope, di sacrificare quelle dodici ragazze che le erano state di compagnia e di aiuto nei lunghissimi anni di assenza del marito? Per quale ragione dopo aver subito le angherie dei Proci, dovevano pure essere passate alla lama da Ulisse e appese come funebri banderuole alle bipenni del cortile della reggia?
Atwood, sulla scorta di studi fondamentali sul diritto materno come quelli di Jakob Bachofen, ritiene che in questa vicenda si debba scorgere una vistosa traccia del passaggio da una società matriarcale, inspirata al culto dell’armonia con la natura (le dodici fanciulle, sarebbero simbolicamente i dodici mesi dell’anno solare) al diritto maschile impostosi con la violenza e il conflitto.
Chiunque abbia studiato le società matriarcali, e sono pochissime quelle oggi rimaste e molto incerte da ricostruire quelle dell’antichità, rileva un dato comune: l’assenza di conflitto, il prevalere di un’organizzazione basata su legami di solidarietà.
Per noi cresciuti in una cultura essenzialmente impregnata di valori maschili e del tutto tributaria a un sistema patriarcale, risulta molto difficile immaginare un mondo in cui i padri e i maschi non siano più i depositari del potere e dell’autorità, anche se proprio quest’ultimi sono messi in discussione e in crisi nei rispettivi ruoli da almeno mezzo secolo, in Occidente.
Molte delle mie riflessioni si sono ampliate quando ho incontrato il libro di Ricardo Coler, Il regno delle donne, (Trad. it. Angela Masotti, Nottetempo 2013), dedicato al suo soggiorno in Cina, presso i Mosuo, l’unica comunità interamente matriarcale esistente al mondo.
Su Doppiozero è stata pubblicata l’intervista che ho fatto all’autore e la potete leggere qui.
Grazie di questo articolo, credo che parlare e approfondire questo argomento sia assolutamente
indispensabile per un futuro più armonico e sereno. Grazie di averlo fatto con la tua eleganza e
profondità. Leggerò con interesse tutto quello che consigli.
Affettuosamente,
Enrichetta